? Heos.it Rivista scienze politica cultura salute - 2019/09/06/scienze/genetica/Identificato il quarto gruppo ancestrale nel DNA degli italiani

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I dati sono contenuti nella ricerca sviluppata dalle Università di Pavia e Torino sulle migrazioni verso il nostro paese tra la fine del Neolitico e l’inizio dell'Età del Bronzo

Identificato il quarto

gruppo ancestrale

nel DNA degli italiani

 

Unipv.it cluster oer regione

 

Rappresentazione schematica della distribuzione dei cluster genetici italiani per regione, intendendo per cluster genetico un gruppo omogeno di individui (foto unipv.it)  

 

06.09 - Il patrimonio genetico degli Italiani è il risultato di una lunga e complessa storia di migrazioni e mescolamenti favoriti dalla posizione geografica della penisola italiana: nel mezzo del bacino del Mediterraneo, connessa via mare con l’Africa e la penisola Balcanica e con l’Europa Centrale dalle Alpi.

Adesso un nuovo studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Science Advances fornisce un quadro ancora più dettagliato dell’impatto che le diverse migrazioni del passato hanno avuto sul genoma degli Italiani. Il quadro che è emerso è quello di una grande complessità, molto maggiore di quella che si osserva nel resto dell’Europa. Oltre ai tre gruppi ancestrali comuni a tutti gli Europei – i cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, gli agricoltori neolitici di origine mediorientale e gli allevatori di cavalli dell’Età del Bronzo – nel genoma degli Italiani sono state identificate tracce genetiche di un “nuovo” e precedentemente ignoto quarto gruppo ancestrale geneticamente simile alle popolazioni moderne della regione del Caucaso. Questa componente sarebbe giunta nella penisola italiana, passando dal Sud Italia, in un periodo compreso tra la fine del Neolitico e l’inizio dell'Età del Bronzo.

Parte dei campioni utilizzati provengono dal “Progetto di studio del Genoma della popolazione italiana”, originatosi dall’idea del prof. Luigi Luca Cavalli Sforza, scomparso recentemente, e del prof. Alberto Piazza e realizzato grazie alla collaborazione delle sezioni provinciali dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani del Sangue). Altri campioni, invece, provengono da una raccolta effettuata nel maggio 2013 in occasione dell'Adunata Nazionale degli Alpini dal gruppo di Genomica delle Popolazioni Umane ed Animali del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie dell'Università di Pavia in collaborazione con l’Associazione Nazionale Alpini (ANA), la sezione provinciale dell’ANA di Piacenza e il Comune di Piacenza.

Lo studio ha coinvolto più di 1.500 italiani, provenienti da tutte e 20 le regioni d’Italia, che sono stati analizzati per oltre 200.000 polimorfismi del DNA nucleare (il DNA delle 23 coppie di cromosomi localizzati nel nucleo delle nostre cellule). Questi polimorfismi sono stati poi “allineati” in segmenti cromosomici (aplotipi) che sono stati comparati non solo tra di loro, ma anche con quelli provenienti da molte altre popolazioni europee, mediorientali e africane. Questo confronto, che ha permesso di identificare gruppi genetici simili e di ricostruire dove e quando queste componenti si sono originate, è stato poi esteso al DNA dell’uomo di Neandertal in modo da valutare quanto questo nostro parente estinto ha contribuito geneticamente alla popolazione italiana ed europea.

Un risultato estremamente chiaro è che la variabilità genetica degli italiani si distribuisce lungo l’asse Nord-Sud rispecchiando chiaramente la geografia del paese con gruppi di campioni che si discostano (Sardegna) da esso. Geneticamente, questi gruppi variano tra di loro tanto quanto i gruppi di campioni dei diversi paesi europei, che singolarmente presentano una variabilità sempre minore di quella italiana. Il motivo dell'elevata variabilità osservata nella popolazione italiana è attribuito all’isolamento genetico di alcuni di questi gruppi, combinato con il mescolamento e le migrazioni, con e da altre popolazioni, avvenuti in vari periodi lungo la penisola italiana, in Sicilia ed in Sardegna. In questo contesto è tuttavia importante ricordare che, a livello genetico, gli esseri umani condividono quasi tutto il loro DNA: le differenze che si possono riscontrare in media tra due soggetti presi a caso dalla popolazione mondiale sono intorno allo 0.1%.

È noto che il genoma di tutte le popolazioni umane non sub-Sahariane contiene traccia del mescolamento tra Neandertaliani e H. sapiens, un’ibridazione avvenuta dopo l’uscita dei sapiens dall’Africa (a partire da 60,000 anni fa) nel successivo lungo periodo di convivenza in Eurasia. Recentemente, la disponibilità di sequenze di Neandertal di alta qualità ha permesso di quantificare questo segnale intorno all’1% - 2% a seconda della popolazione studiata. In questo studio, la proporzione di genoma neandertaliano sia in Italia sia in Europa segue un gradiente nord-nud con gruppi del nord che mostrano maggiore segnale rispetto a quelle del centro e del sud. Sebbene alcune di queste differenze possono essere attribuite alla selezione naturale, è probabile che il gradiente sia in gran parte il prodotto dei diversi eventi di mescolamento tra i gruppi genetici di H. sapiens.

In prospettiva, questo studio apre nuovi scenari che necessitano di ulteriori chiarimenti, in particolare in merito alla scoperta della nuova quarta componente genetica identificata nel sud Italia a tal fine sarà di grande aiuto l’analisi del genoma delle popolazioni italiane del passato ora possibile grazie al nuovo laboratorio di DNA antico del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” dell'Università di Pavia.

La ricerca è frutto di una collaborazione tra: il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie “L. Spallanzani” dell'Università di Pavia, nelle persone di Alessandro Raveane, Viola Grugni, Silvia Parolo, Antonio Torroni, Ornella Semino, Alessandro Achilli ed Anna Olivieri; il Dipartimento di Scienze Mediche e l’Istituto Italiano per la Medicina Genomica (IIGM) di Torino, a cui appartengono Serena Aneli, Giovanni Birolo, Cornelia di Gaetano, Alberto Piazza e Giuseppe Matullo; il Dipartimento di Zoologia dell'Università di Oxford (Francesco Montinaro e Cristian Capelli) e molti ricercatori di altre università sia italiane (Perugia, Sassari, Roma, Padova, Milano) sia estere (Tartu, Aarhus, Purdue, Washington, Tolosa, Londra, Marrakech, Marsiglia, Nantes, Parigi, Leuven, Oujda, Porto). (red)

vedi
www.unipv.it 
https://advances.sciencemag.org/content/5/9/eaaw3492 

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