? Heos.it Rivista scienze politica cultura salute - 2019/07/29/ambiente/Sempre più scuri e vulnerabili i ghiacciai dello Stelvio

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Uno studio effettuato da giovani ricercatori dell’Università Statale di Milano ha comparato i dati dagli anni ‘80 del secolo scorso fino ad oggi

Sempre più scuri e vulnerabili

i ghiacciai dello Stelvio

 Unimi Ghiacciai Stelvio Confronto due ortofoto

Confronto di due ortofoto (2003-2012) del gruppo dell’Ortles-Cevedale (credits: IIT, Infrastruttura Informatica Territoriale, Geoportale Regione Lombardia)


29.07.19 - Parco Nazionale dello Stelvio: i ghiacciai del gruppo dell’Ortles-Cevedale sono sempre più "neri", vale a dire sempre più vulnerabili al cambiamento climatico. È l'esito di uno studio condotto da un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università Statale di Milano che per la prima volta hanno analizzato 40 anni di dati dei satelliti Landsat.

La ricerca dal titolo, “New evidence of glacier darkening in the Ortles-Cevedale group from Landsat observations” pubblicata su Global and Planetary Change, è stata coordinata da Davide Fugazza, ricercatore della Statale, che ha osservato i dati attraverso un algoritmo che, a partire dalle immagini satellitari, permette di ottenere un valore di albedo (ossia di riflettività della superficie) tramite specifiche correzioni per gli effetti dell’atmosfera e della topografia.

L’albedo è un’importante proprietà della superficie di un ghiacciaio, ed indica la capacità di riflettere la radiazione solare. Una superficie chiara, come la neve fresca, ha un valore di albedo particolarmente elevato e pertanto riflette la maggior parte della radiazione solare incidente. Una superficie scura, come una roccia, ha un valore di albedo molto più basso e pertanto solo una minima parte della radiazione solare viene riflessa. Un albedo minore implica quindi un maggior assorbimento di radiazione solare da parte del ghiaccio ed una maggiore fusione, con importanti ricadute sullo stato di salute del ghiacciaio.

Analizzando l’archivio delle immagini Landsat dall’inizio degli anni ’80 fino ai giorni nostri, i ricercatori hanno scoperto che per la maggior parte dei ghiacciai studiati si è verificato un sensibile decremento dell’albedo. In altre parole, un annerimento del ghiacciaio.

Tra le principali cause di questo annerimento c’è l’aumento della copertura detritica proveniente dalle pareti rocciose circostanti il ghiacciaio, che si riversa su di esso a seguito dell’aumento delle temperature a sua volta provoca maggiore instabilità dei versanti. L’aumento delle temperature inoltre comporta la fusione precoce della neve caduta in inverno e una maggiore esposizione del ghiaccio durante l’estate.

Un importante contributo all’annerimento viene però anche da polveri trasportate attraverso l’atmosfera, siano esse di origine naturale (principalmente deserti) o antropica (particolato fine proveniente dalla combustione dei motori diesel e dalle attività industriali della pianura padana e dagli incendi boschivi, il cosiddetto black carbon) oltre che dall’azione dei microrganismi come alghe e batteri.

Si tratta del primo studio in cui l’entità dell’annerimento viene valutata su ghiacciai dell’arco alpino in un periodo di tempo così ampio, – commenta Davide Fugazza. - Conoscere l’intensità di questo fenomeno permette di stimare la fusione del ghiaccio in maniera più accurata, valutare gli effetti dell’annerimento sul regresso dei ghiacciai e sviluppare modelli previsionali per ottenere indicazioni sulla sensibilità dei ghiacciai ai cambiamenti climatici”.

Per convalidare i dati raccolti tramite satellite sono state pure utilizzate le osservazioni dalla stazione meteorologica permanente della Statale installata nel 2005 sul ghiacciaio dei Forni (AWS1 Forni) e da allora ininterrottamente funzionante. Osservazioni utilizzate in prestigiosi progetti internazionali promossi dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (tra cui i progetti SPICE - Solid Precipitation Intercomparison Experiment e CryoNet - Global Cryosphere Watch).

La ricerca è stata condotta anche grazie al contributo di Sanpellegrino Levissima S.p.A. e i giovani ricercatori coinvolti nello studio sono stati supportati dal DARA (Dipartimento degli Affari Regionali e Autonomie) - Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito del progetto GlacioVAR sotto la guida di Guglielmina Diolaiuti - UNIMI ESP (Environmental Science and Policy). (red)


vedi
www.unimi.it 
https://doi.org/10.1016/j.gloplacha.2019.04.014 

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